Giuseppe Tomasi, duca di Palma e principe di Lampedusa, nacque a Palermo nel dicembre del 1896 e morì a Roma nel Luglio del 1957.
Il suo capolavoro, Il Gattopardo, pubblicato un anno e mezzo dopo la sua morte, rimase a lungo inedito perché rifiutato da molti editori. Tradotto in tutto il mondo, letto da milioni di lettori, portato sullo schermo, Il Gattopardo è ormai un classico ed è riconosciuto come una delle massime opere letterarie del nostro secolo.
Il romanzo fu pubblicato postumo nel 1958, dopo che Elena Croce lo inviò a Giorgio Bassani il quale lo fece pubblicare presso la casa editrice Feltrinelli.
Nel 1959 il romanzo vinse il Premio Strega. Curiosamente, anche Giuseppe Tomasi di Lampedusa morì lontano da casa come il suo antenato protagonista de Il Gattopardo, il 23 luglio 1957 a Roma, nella casa della cognata in via San Martino della Battaglia n. 2, dove era andato per sottoporsi a particolari cure mediche che, purtroppo, si rivelarono inefficaci. La salma fu inumata il 28 luglio nella tomba di famiglia al Cimitero dei Cappuccini di Palermo.
Il titolo del romanzo ha l’origine nello stemma di famiglia dei Tomasi ed è così commentato nel romanzo stesso: «Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra.»
Giuseppe Tomasi compie all’interno dell’opera un processo narrativo che è sia storico che attuale. Parlando di eventi passati, Tomasi di Lampedusa parla di eventi del tempo presente, ossia di uno spirito siciliano citato più volte come gattopardesco (“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”).
Nel dialogo con Chevalley di Monterzuolo, il principe di Salina spiega ampiamente il suo spirito della sicilianità; egli lo spiega con un misto di cinica realtà e rassegnazione. Spiega che i cambiamenti avvenuti nell’isola più volte nel corso della storia hanno adattato il popolo siciliano ad altri “invasori”, senza tuttavia modificare dentro l’essenza e il carattere dei siciliani stessi. In questo modo, il presunto miglioramento apportato dal nuovo Regno d’Italia, appare al principe di Salina come un ennesimo mutamento senza contenuti, poiché ciò che non muta è l’orgoglio del siciliano stesso.
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